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      Tihon Pàvlovitsc chiamò il cameriere, gli ordinò quello che desiderava, e passò nella camera vicina. Questa pareva quasi un corridoio, e tutta affumicata.
      Aveva tre finestre prospicienti sulla via. Nello spazio tra una finestra e l'altra, c'era un'incisione raffigurante una caccia all'orso; nell'altro, una donna nuda. Tihon Pavlovitsc le lanciò un'occhiata, poi andò a sedere presso un tavolino rotondo, che si trovava innanzi ad un largo divano coperto di cuoio, sul quale sovrastava un'altra incisione rappresentante, non si sa, se un prato falciato o il mare in bonaccia; nel mezzo del quadro c'era una macchia bruna, la quale poteva rappresentare tanto una casetta quanto una nave. Due candele erano accese ai due lati del quadro.
      Si udiva nella stanza vicina il chiasso dei nuovi arrivati, il tintinnio dei bicchieri, lo scoppio dei turaccioli che volavano in aria.
      - Cerchiamo di scuoterci, pensava Tihon Pavlovitsc, mescendosi dell'acquavite e tracannandola. - Chissà, dopo il ballo, potremo ricominciare a vivere. Basta così; ho abbastanza discusso con me stesso. Se avessi la possibilità di capire come e perchè, sarebbe stato un altro affare. Ma in quanto a capire, non è cosa per me. Qualcosa mi tormenta, ma cos'è questo qualcosa? io non lo so. È una cosa che mi rode - e questo è quanto.... Ebbene, ammettiamo che l'uomo sia morto; e che perciò? La cosa è chiara; se è morto, è segno che è vissuto. Anch'io morrò.... Non bisogna dimenticare l'anima, è giusto.


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Il burlone - L'angoscia
di Maksim Gor'kij
Salvaore Romano Editore
1906 pagine 99

   





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