- «Il vento urla e geme!» cantò Kostia in recitativo.
Indifferente, con l'aria di una persona che dice: «Bah! ciò mi è tutt'uno!» Tània guardò Kostia, e appoggiando più fortemente la mano sulla guancia, riprese prima che Kostia avesse finito il suo motivo:
- «E la mia povera te-e-sta!»
- «È ròsa dalla crudele tristezza!» continuò Kostia, immobile e immerso in sè stesso.
Egli era piccolo, magro e giallo, e pareva invero strano di vedere uscire quei suoni belli e forti da quella personcina esile e tutta rannicchiata. La canzone si svolgeva nota a nota. La voce di tenore di Kostia, alta, metallica, vibrava come singhiozzante e moriva, ma prima ancora che avesse il tempo di estinguersi, risuonava il profondo contralto di Tania che si spandeva pensieroso e triste dalla sua ugola inalterabilmente tranquilla, ciò che rendeva ancora più tristi le sue parole. Una folla di gente dalle faccie rosse, eccitate e in sudore, stava agglomerata sulla porta della stanza; dietro questa, laggiù, in fondo alla sala, si udiva il tintinnio dei bicchieri e delle voci avvinazzate, ma i rumori andavano affievolendosi, mentre la folla, radunatasi presso la porta, si spingeva avanti nella stanza.
- «E-eh! e andrò nelle steppe...» raccontava tristemente Kostia, il quale aveva delle macchie rosse sulle guancie.
- «Nelle st-eppe...» riattaccava Tania, e la sua voce suonava solamente come l'eco indifferente del dolore altrui.
- «Vi cercherò un destino...»
Le voci si fusero, e, in uno slancio unico, caldo e commovente, si sparsero per la stanza, impregnata di odore di acquavite, di tabacco e di sudore, si misero a tremolare ad un tratto, a battere le ali, singhiozzarono come se soffrissero di quella ristrettezza di spazio e di nausea.
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