Annuscka posò il capo sulla spalla del vicino e rimase così, con gli occhi chini a terra. Il musicante s'arricciava i baffi in aria pensosa, e l'uomo dal camiciotto andò verso la finestra e vi si addossò con le spalle, col viso stranamente proteso verso i cantanti, come se volesse acchiappare i suoni con la bocca. La folla riunita a formare un solo animale, grugniva sordamente nel vano della porta.
I tre cantanti continuavano, deliziati dal loro proprio canto. Questo risuonava ora lugubre e appassionato come preghiera di peccatore penitente, ora triste e dolce come pianto di fanciullo ammalato, ora pieno di quell'angoscia disperata e frenetica di cui è colma ogni vera canzone russa.
- «Ah! io rimango vicino al mare...» singhiozzava Kostia; il sudore imperlava la sua fronte tesa e gli scorreva poi sulle guance come fossero lagrime.
- «Ah! - i - o - i - i - al - a - ar...» lo secondava il monco con le sole vocali.
Egli stringeva fortemente le palpebre, e le sue narici fremevano pure.
- «Aspetto il mio destino!» cantava Tania con la voce piena di disperazione, mentre dondolava il capo e sorrideva di un sorriso così intenso ed ansioso.
- «La mia anima...» suonava e piangeva la voce di Kostia.
- «Le lagrime.... Le lagrime ardenti la lavano!» diceva tremando la voce del mutilato.
I suoni piangevano, vagavano sempre; pareva che dovessero bruscamente spezzarsi e morire, ma rinascevano sempre, ravvivando la nota morente, sollevandola di nuovo in alto; là essa si dibatteva, si lamentava, poi cadeva in giù; il falsetto del mutilato sottolineava la sua angoscia, mentre Tania cantava sempre e Kostia singhiozzava di nuovo, ora anticipando le sue parole, ora ripetendole, e, molto probabilmente, quella canzone piangente e supplichevole, quel racconto dell'orfano in cerca del suo destino, non avrebbe più avuto fine, se Tihon Pavlovitsc non fosse scattato improvvisamente dalla sua seggiola, gridando sordamente:
| |
Kostia Tania Kostia Tania Kostia Tihon Pavlovitsc
|