I rapporti tra gli intellettuali e il popolo-nazione studiati sotto l'aspetto della lingua scritta dagli intellettuali e usata nei loro rapporti e sotto l'aspetto della funzione avuta dagli intellettuali italiani nella Cosmopoli medioevale per il fatto che il Papato aveva sede in Italia (l'uso del latino come lingua dotta è legato al cosmopolitismo cattolico).
Latino letterario e latino volgare. Dal latino volgare si sviluppano i dialetti neolatini non solo in Italia ma in tutta l'area europea romanizzata: il latino letterario si cristallizza nel latino dei dotti, degli intellettuali, il cosí detto mediolatino (cfr. l'articolo di Filippo Ermini sulla «Nuova Antologia» del 16 maggio 1928), che non può essere in nessun modo paragonato a una lingua parlata, nazionale, storicamente vivente, quantunque non sia neppure da confondersi con un gergo o con una lingua artificiale come l'esperanto. In ogni modo c'è una frattura tra il popolo e gli intellettuali, tra il popolo e la cultura. (Anche) i libri religiosi sono scritti in mediolatino, sicché anche le discussioni religiose sfuggono al popolo, quantunque la religione sia l'elemento culturale prevalente: della religione il popolo vede i riti e sente le prediche esortative, ma non può seguire le discussioni e gli sviluppi ideologici che sono monopolio di una casta.
I volgari sono scritti quando il popolo riprende importanza: il giuramento di Strasburgo (dopo la battaglia di Fontaneto tra i successori di Carlo Magno) è rimasto perché i soldati non potevano giurare in una lingua sconosciuta, senza togliere validità al giuramento.
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