Nel suo articolo, interessante come informazione dell'importanza che ha assunto lo studio del mediolatino (questa espressione, che dovrebbe significare latino medioevale, credo, mi pare abbastanza impropria e possibile causa di errori tra i non specialisti) e a cui potrò rifarmi per una prima bibliografia, oltre che ad altri scritti dell'Ermini che è un mediolatinista, l'Ermini afferma, che in base alle ricerche, «alla teoria dei due mondi separati, del latino, che è in mano dei soli dotti e si spegne, e del neolatino, che sorge e s'avviva, bisogna sostituire la teoria dell'unità latina e della continuità perenne della tradizione classica». Ciò può significare solo che la nuova cultura neolatina sentiva fortemente gli influssi della precedente cultura, non che ci sia stata una unità «popolare-nazionale»di cultura.
Ma forse per l'Ermini mediolatino ha proprio il significato letterale, del latino che sta in mezzo tra quello classico e quello umanistico, che indubbiamente segna un ritorno al classico, mentre il mediolatino ha caratteri propri, inconfondibili: l'Ermini fa incominciare il mediolatino verso la metà del secolo IV, quando avviene l'alleanza tra la cultura (!) classica e la religione cristiana, quando «una nobile pleiade di scrittori, uscendo dalle scuole di retorica e di poetica, sente vivo il desiderio di congiungere la fede nuova alla bellezza (!) antica e cosí dar vita alla prima poesia cristiana». (Mi pare giusto far risalire il mediolatino al primo rigoglio di letteratura cristiana latina, ma il modo di esporne la genesi mi pare vago e arbitrario - cfr. la Storia della letteratura latina del Marchesi per questo punto -). [Il mediolatino occuperebbe circa un millennio, tra la metà del IV secolo] e la fine del secolo XIV, tra l'inizio dell'ispirazione cristiana e il diffondersi dell'umanesimo.
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