Formiggini).
Ettore Veo, in un articolo della «Nuova Antologia», del 16 giugno 1928, Roma nei suoi fogli dialettali, nota come il romanesco rimanesse a lungo costretto nell'ambito del volgo, schiacciato dal latino. «Ma già in movimenti rivoluzionari il volgo, come succede, cerca di passare - o lo si fa passare - in primo piano». Il Sacco di Roma trova scrittori in dialetto, ma specialmente la Rivoluzione francese. (Di qui comincia di fatto la fortuna «scritta» del romanesco e la fioritura dialettale che culmina nel periodo liberale di Pio IX fino alla caduta della Repubblica Romana). Nel '47-'49 il dialetto è arma dei liberali, dopo il '70 dei clericali.
Latino ecclesiastico e volgare nel Medioevo. «La predicazione in lingua volgare risale in Francia alle origini stesse della lingua. Il latino era la lingua della Chiesa: cosí le prediche erano fatte in latino ai chierici (cleres), ai frati, anche alle monache. Ma per i laici le prediche erano fatte in francese. Fin dal IX secolo, i concili di Tours e di Reims ordinano ai preti d'istruire il popolo nella lingua del popolo. Ciò era necessario per essere compresi. Nel secolo XII vi fu una predicazione in volgare, attiva, vivace, potente, che trascinava grandi e piccoli alla crociata, riempiva i monasteri, gettava in ginocchio e in tutti gli eccessi della penitenza intere città. Dall'alto dei loro pulpiti, sulle piazze, nei campi, i predicatori erano i direttori pubblici della coscienza degli individui e delle folle; tutto e tutti passano sotto la loro aspra censura, e dalle sfrontate acconciature delle donne nessuna parte segreta o visibile della corruzione del secolo sconcertava l'audacia del loro pensiero o della loro lingua» (Lanson, Histoire de la littérature Française, Hachette, 19.ème éd., pp.
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