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      170-71), Luigi Salvatorelli scrive: «Una comunitą, e per giunta una comunitą religiosa, guidata dallo spirito benedettino, era un padrone assai piś umano del proprietario singolo, col suo egoismo personale, il suo orgoglio di casta, le tradizioni di abusi secolari. E il prestigio del monastero, anche prima di concentrarsi in privilegi legali, proteggeva in una certa misura i coloni contro la rapacitą del fisco e le incursioni delle bande armate legali ed illegali. Lontano dalle cittą in piena decadenza, in mezzo alle campagne corse e spremute che minacciavano di tramutarsi in deserto, il monastero sorgeva, nuovo nucleo sociale traente il suo essere dal nuovo principio cristiano, fuori di ogni mescolanza col decrepito mondo che si ostinava a chiamarsi dal gran nome di Roma. Cosķ san Benedetto, senza proporselo direttamente, fece opera di riforma sociale e di vera creazione. Ancor meno premeditata fu la sua opera di cultura». Mi pare che in questo brano del Salvatorelli ci siano tutti o quasi gli elementi fondamentali, negativi e positivi, per spiegare storicamente il feudalismo.
      Meno importante, ai fini della mia ricerca, č la quistione dell'importanza di san Benedetto o di Cassiodoro nell'innovazione culturale di questo periodo.
      Su questo nesso di quistioni oltre al Salvatorelli č da vedere il volumetto di Filippo Ermini Benedetto da Norcia nei «Profili» di Formiggini, in cui bibliografia dell'argomento. Secondo l'Ermini: «... le case benedettine diverranno veramente asilo del sapere; e, piś che il castello, il monastero sarą il focolare d'ogni scienza.


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Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura
di Antonio Gramsci
pagine 299

   





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