D'altronde: poiché l'attività scientifica è in Italia strettamente legata al bilancio dello Stato, che non è lauto, all'atrofizzarsi di uno sviluppo del «pensiero» scientifico, della storia, non può per compenso neanche aversi uno sviluppo della «tecnica» strumentale e sperimentale, che domanda larghezza di mezzi e di dotazioni. Questo disgregarsi dell'unità scientifica, del pensiero generale, è sentito: si è cercato di rimediare elaborando anche in questo campo un «nazionalismo» scientifico, cioè sostenendo la tesi della «nazionalità» della scienza. Ma è evidente che si tratta di costruzioni esteriori estrinseche, buone per i congressi e le celebrazioni oratorie, ma senza efficacia pratica. E tuttavia gli scienziati italiani sono valorosi e fanno, con pochi mezzi, sacrifici inauditi e ottengono risultati mirabili. Il pericolo piú grande pare essere rappresentato dal gruppo neoscolastico, che minaccia di assorbire molta attività scientifica sterilizzandola, per reazione all'idealismo gentiliano. (È da vedere l'attività organizzatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche e l'efficacia che ha avuto per sviluppare l'attività scientifica e tecnologica, e quella delle sezioni scientifiche dell'Accademia d'Italia).
2) Centralismo nazionale e burocratico. Lo scioglimento delle associazioni regionali avvenuto verso l'agosto del 1932. Vedere quali reazioni ha suscitato nel tempo. Vi si è visto un movimento di sempre piú salda coscienza nazionale. Ma l'illazione è giustificata? Confrontare col movimento di centralizzazione avutosi in Francia dopo la Rivoluzione e specialmente con Napoleone.
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