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      Il metodo che la disciplina universitaria prescrive per ogni forma di ricerca è ben altro e ben altro è il risultato: è «la formazione dell'intelletto, cioè un abito di ordine e di sistema, l'abito di riportare ogni conoscenza nuova a quelle che possediamo, e di aggiustarle insieme, e, quel che piú importa, l'accettazione e l'uso di certi principî, come centro di pensiero... Là dove esiste una tale facoltà critica, la storia non è piú un libro di novelle, né la biografia un romanzo; gli oratori e le pubblicazioni della giornata perdono la infallibilità; la eloquenza non vale piú il pensiero, né le affermazioni audaci o le descrizioni colorite tengono il posto di argomenti». La disciplina universitaria deve essere considerata come un tipo di disciplina per la formazione intellettuale attuabile anche in istituzioni non «universitarie» in senso ufficiale.
     
     
      Delle università italiane. Perché non esercitano nel paese quell'influsso di regolatrici della vita culturale che esercitano in altri paesi? Uno dei motivi deve ricercarsi in ciò che nelle università il contatto tra insegnanti e studenti non è organizzato. Il professore insegna dalla cattedra alla massa degli ascoltatori, cioè svolge la sua lezione, e se ne va. Solo nel periodo della laurea avviene che lo studente si avvicini al professore, gli chieda un tema e consigli specifici sul metodo della ricerca scientifica. Per la massa degli studenti i corsi non sono altro che una serie di conferenze, ascoltate con maggiore o minore attenzione, tutte o solo una parte: lo studente si affida alle dispense, all'opera che il docente stesso ha scritto sull'argomento o alla bibliografia che ha indicato.


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Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura
di Antonio Gramsci
pagine 299