2) Le forme lessicali e i loro significati devono essere confrontate per fasi storiche omogenee delle lingue rispettive, per ogni forma occorre perciò «fare» oltre la storia fonologica anche la storia semantica e confrontare i significati piú antichi. Il Trombetti non rispetta nessuno di questi canoni elementari: a) si accontenta, nei confronti, di significati generici affini, anche non troppo affini (qualche volta stiracchiati in modo ridicolo: ricordo un caso curiosissimo di un verbo di moto arioeuropeo confrontato con una parola di un dialetto asiatico che significa «ombelico» o giú di lí, che dovrebbero corrispondere, secondo il Trombetti, per il fatto che l'ombelico si «muove» continuamente per la respirazione!); b) basta per lui che nelle parole messe a confronto si verifichi la successione di due suoni consonantici rassomigliantisi come, per esempio, t, th, d, dh, s, ecc., oppure p, ph, f, b, bh, v, w, ecc.; si sbarazza delle altre consonanti eventuali considerandole come prefissi, suffissi o infissi.
3) La parentela di due lingue non può essere dimostrata dalla comparazione, anche fondata, di un numero anche grandissimo di parole, se mancano gli argomenti grammaticali di indole fonetica e morfologica (e anche sintattica, sebbene in minor grado). Esempio: l'inglese che è lingua germanica anche se il lessico [è] molto neolatino; il rumeno che è neolatino anche se [ha] molte parole slave; l'albanese che è illirico anche se il lessico [è] greco, latino, slavo, turco, italiano; l'armeno che contiene molto iranico: persiano arabizzato ma sempre arioeuropeo ecc.
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