O, per venir subito all'essenziale, perché credono all'arte, mentre quelli credevano a molte altre cose che con l'arte nulla avevano a che vedere. Tale novità, perciò, può consentire la forma tradizionale e il contenuto antico; ma non può consentire deviamenti dall'idea essenziale dell'arte. Quale possa essere questa idea, non è qui il luogo di ripetere. Ma mi sia consentito ricordare che gli scrittori nuovi, compiendo una rivoluzione (!) che per essere stata silenziosa (!) non sarà meno memorabile (!), intendono di essere soprattutto artisti, laddove i loro predecessori si compiacevano di essere moralisti, predicatori, estetizzanti, psicologisti, edonisti, ecc.». Il discorso non è molto chiaro e ordinato: se qualcosa di concreto se ne può estrarre è la tendenza a un secentismo programmatico, niente altro. Questa concezione dell'artista è un nuovo «guardarsi la lingua» nel parlare, è un nuovo modo di costruire «concettini». E puri costruttori di concettini, non di immagini, sono i piú dei poeti esaltati dalla «banda», con a capo Giuseppe Ungaretti (che tra l'altro scrive una lingua sufficientemente infranciosata e impropria). Il movimento della «Voce» non poteva creare artisti, ut sic, è evidente; ma lottando per una nuova cultura, per un nuovo modo di vivere, indirettamente promuoveva anche la formazione di temperamenti artistici originali, poiché nella vita c'è anche l'arte. La «rivoluzione silenziosa» di cui parla l'Angioletti è stata solo una serie di confabulazioni da caffè e di mediocri articoli di giornale standardizzato e di rivistucole provinciali.
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Giuseppe Ungaretti Angioletti
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