Superficialità piena di contraddizioni perché poi il Morello si ferma sulla predizione di Farinata, senza pensare che se questi eresiarchi possono sapere il futuro, devono sapere il passato, dato che il futuro diventa sempre passato: ciò non lo porta a rileggersi il testo e ad accertarne il significato.
Ma anche la cosí detta interpretazione politica che il Morello fa del X canto è superficialissima: essa non è altro che la ripresa della vecchia quistione: Dante fu guelfo o ghibellino? Per il Morello, sostanzialmente, Dante fu ghibellino e Farinata è «il suo eroe», solo che Dante fu ghibellino come Farinata, cioè «uomo politico» piú che «uomo di parte». Si può, in questo argomento dire tutto ciò che si vuole. In realtà Dante, come egli stesso dice, «fece parte per se stesso»: egli è essenzialmente un «intellettuale» e il suo settarismo e la sua partigianeria sono d'ordine intellettuale piú che politico in senso immediato. D'altronde la posizione politica di Dante potrebbe esser fissata solo con un'analisi minutissima non solo di tutti gli scritti di Dante stesso, ma delle divisioni politiche del suo tempo che erano molto diverse da quelle di cinquant'anni prima. Il Morello è troppo irretito nella retorica letteraria per essere in grado di concepire realisticamente le posizioni politiche degli uomini del Medio Evo verso l'Impero, il Papato e la loro repubblica comunale.
Quello che fa sorridere nel Morello è il suo «disdegno» per i commentatori che affiora qua e là come a p. 52, nello scritto Cavalcanti e il suo disdegno dove dice che «la prosa dei commentatori spesso altera il senso dei versi»; ma guarda chi lo dice!
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