Se questo si dimostrasse, tutto il castello del pirandellismo cioè dell'intellettualismo astratto del teatro pirandelliano crollerebbe, come pare debba crollare.
Ma non mi pare che il problema culturale del teatro pirandelliano sia ancora esaurito in questi termini. In Pirandello abbiamo uno scrittore «siciliano», che riesce a concepire la vita paesana in termini «dialettali», folcloristici (se pure il suo folclorismo non è quello influenzato dal cattolicismo, ma quello rimasto «pagano», anticattolico sotto la buccia cattolica superstiziosa), che nello stesso tempo è uno scrittore «italiano» e uno scrittore «europeo». E in Pirandello abbiamo di piú: la coscienza critica di essere nello stesso tempo «siciliano», «italiano» ed «europeo», ed è in ciò la debolezza artistica del Pirandello accanto al suo grande significato «culturale» (come ho notato in altre note). Questa «contraddizione», che è intima nel Pirandello, ha esplicitamente avuto espressione in qualche suo lavoro narrativo (in una lunga novella, mi pare Il Turno, si rappresenta l'incontro tra una donna siciliana e un marinaio scandinavo, tra due «province» cosí lontane storicamente). Quello che importa è però questo: il senso critico-storico del Pirandello, se lo ha portato nel campo culturale a superare e dissolvere il vecchio teatro tradizionale, convenzionale, di mentalità cattolica o positivistica, imputridito nella muffa della vita regionale o di ambienti borghesi piatti e abbiettamente banali, ha però dato luogo a creazioni artistiche compiute?
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