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      La quistione è però ancor piú complessa di quanto appaia da questi cenni. E si pone cosí: i valori poetici del teatro pirandelliano (e il teatro è il terreno piú proprio del Pirandello, l'espressione piú compiuta della sua personalità poetico-culturale) non solo devono essere isolati dalla sua attività prevalentemente di cultura, intellettuale-morale, ma devono subire una ulteriore limitazione: la personalità artistica del Pirandello è molteplice e complessa. Quando il Pirandello scrive un dramma, egli non esprime «letterariamente», cioè con la parola, che un aspetto parziale della sua personalità artistica. Egli «deve» integrare la «stesura letteraria» con la sua opera di capocomico e di regista. Il dramma del Pirandello acquista tutta la sua espressività solo in quanto la «recitazione» sarà diretta dal Pirandello capocomico, cioè in quanto Pirandello avrà suscitato negli attori dati una determinata espressione teatrale e in quanto Pirandello regista avrà creato un determinato rapporto estetico tra il complesso umano che reciterà e l'apparato materiale della scena (luce, colori, messinscena in senso largo). Cioè il teatro pirandelliano è strettamente legato alla personalità fisica dello scrittore e non solo ai valori artistico-letterari «scritti». Morto Pirandello (cioè, se Pirandello oltre che come scrittore, non opera come capo-comico e come regista) cosa rimarrà del teatro di Pirandello? Un «canovaccio» generico, che in un certo senso può avvicinarsi agli scenari del teatro pregoldoniano: dei «pretesti» teatrali, non della «poesia» eterna.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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