Neanche conta, in realtà, il concreto atteggiamento del Croce, come politico, verso questa o quella corrente di passioni e sentimenti; come esteta il Croce rivendica il carattere di liricità dell'arte, anche se come politico rivendichi e lotti per il trionfo di un determinato programma invece che di un altro. Pare anzi che con la sua teoria della circolarità delle categorie spirituali, non possa negarsi che nell'artista il Croce presupponga una forte «moralità», anche se non come fatto morale consideri l'opera d'arte ma come fatto estetico, cioè consideri un momento e non un altro del circolo come quello di cui si tratta. Cosí, per esempio, nel momento economico considera il «brigantaggio», come l'affare di borsa, ma non pare che come uomo lavori allo sviluppo del brigantaggio piú che agli affari di borsa (e si può dire che, in misura della sua importanza politica, il suo atteggiamento non sia senza ripercussione sugli affari di borsa). Questo stesso fatto, della poca serietà della discussione e del non soverchio scrupolo dei disputanti nell'impadronirsi dei termini del problema e nello scrupolo dell'esattezza, non è certo documento che il problema sia vitale e di importanza eccezionale: è una polemica di piccoli e mediocri giornalisti piú che i «dolori del parto» di una nuova civiltà letteraria.
Il pubblico e la letteratura italiana. In un articolo pubblicato dal «Lavoro» e riportato in estratti dalla «Fiera Letteraria» del 28 ottobre 1928, Leo Ferrero scrive: «Per una ragione o per l'altra si può dire che gli scrittori italiani non abbiano piú pubblico.
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