Ma chi guarda attentamente, vede nella presente letteratura forze latenti, aneliti all'ascesa, alcune buone e promettenti realizzazioni»).
2) L'altra osservazione dell'Ojetti è questa: «La scarsa popolarità della nostra letteratura passata, cioè dei nostri classici. È vero: nella critica inglese e francese si leggono spesso paragoni tra gli autori viventi e i classici ecc. ecc.». Questa osservazione è fondamentale per un giudizio storico sulla presente cultura italiana: il passato non vive nel presente, non è elemento essenziale del presente, cioè nella storia della cultura nazionale non c'è continuità e unità. L'affermazione di una continuità ed unità è solo un'affermazione retorica o ha valore di mera propaganda suggestiva, è un atto pratico, che tende a creare artificialmente ciò che non esiste, non è una realtà in atto. (Una certa continuità e unità parve esistere dal Risorgimento fino al Carducci e al Pascoli, per i quali era possibile un richiamo fino alla letteratura latina; furono spezzate col D'Annunzio e successori). Il passato, compresa la letteratura, non è elemento di vita, ma solo di cultura libresca e scolastica; ciò che poi significa che il sentimento nazionale è recente, se addirittura non conviene dire che esso è solo ancora in via di formazione, riaffermando che in Italia la letteratura non è mai stata un fatto nazionale, ma di carattere «cosmopolitico».
Dalla lettera aperta di Umberto Fracchia a S. E. G. Volpe si possono estrarre altri brani tipici: «Solo un po' [piú] di coraggio, di abbandono (!), di fede (!) basterebbero per trasformare l'elogio a denti stretti che Ella ha fatto della presente letteratura in un elogio aperto ed esplicito; per dire che la presente letteratura italiana ha forze non solo latenti, ma anche scoperte, visibili (!) le quali non aspettano (!) che di essere vedute (!) e riconosciute da quanti le ignorano, ecc. ecc.
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