In questo fatto è posto un problema di vita nazionale essenziale. Se è vero che ogni secolo o frazione di secolo ha la sua letteratura, non è sempre vero che questa letteratura sia prodotta nella stessa comunità nazionale. Ogni popolo ha la sua letteratura, ma essa può venirgli da un altro popolo, cioè il popolo in parola può essere subordinato all'egemonia intellettuale e morale di altri popoli. È questo spesso il paradosso piú stridente per molte tendenze monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo: che mentre si costruiscono piani grandiosi di egemonia, non ci si accorge di essere oggetto di egemonie straniere; cosí come, mentre si fanno piani imperialistici, in realtà si è oggetto di altri imperialismi ecc. D'altronde non si sa se il centro politico dirigente non capisca benissimo la situazione di fatto e non cerchi di superarla: è certo però che i letterati, in questo caso, non aiutano il centro dirigente politico in questi sforzi e i loro cervelli vuoti si accaniscono nell'esaltazione nazionalistica per non sentire il peso dell'egemonia da cui si dipende e si è oppressi.
[Polemiche inconcludenti.] Si moltiplicano gli scritti sul distacco tra arte e vita. Articolo di Papini, nella «Nuova Antologia» del 1° gennaio 1933, articolo di Luigi Chiarini nell'«Educazione Fascista» del dicembre 1932. Attacchi contro Papini nell'«Italia Letteraria» ecc... Polemiche noiose e quanto inconcludenti. Papini è cattolico e anticrociano; le contraddizioni del suo superficiale scritto risultano da questa doppia qualità. In ogni modo questo rinnovarsi delle polemiche (alcuni articoli di «Critica Fascista», quelli di Gherardo Casini e uno di Bruno Spampanato contro gli intellettuali sono i piú notevoli e si avvicinano di piú al nocciolo della quistione) è sintomatico e mostra come si senta il disagio per il contrasto tra le parole e i fatti, tra le affermazioni recise e la realtà che le contraddice.
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