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      Questo appunto è debole relativamente nella letteratura italiana: la prosa, o, meglio ancora che la prosa intesa come genere letterario e ritmo verbale, diremo il senso del prosaico: l'interesse, la curiosità osservatrice, l'amore paziente per la vita storica e contingente quale si svolge sotto i nostri occhi, per il mondo nel suo divenire, per l'attuazione drammatica e progressiva del divino».
      È interessante poco prima un brano sul De Sanctis e il rimprovero buffo: «Vedeva vivere la letteratura italiana da piú di sei secoli e le chiedeva di nascere». In realtà il De Sanctis voleva che la «letteratura» si rinnovasse perché si erano rinnovati gli italiani, perché sparito il distacco tra letteratura e vita ecc. È interessante osservare che il De Sanctis è progressista anche oggi nei confronti dei tanti Borgesi della critica attuale.
      «La sua limitata popolarità (della letteratura italiana), il singolare e quasi aristocratico e appartato genere di fortuna che le toccò per tanto tempo, non si spiega soltanto (!) con la sua inferiorità: si spiega piú completamente (!) con le sue altezze (! altezze mescolate con inferiorità!), con l'aria rarefatta in cui si sviluppò. Non-popolarità è come dire non-divulgazione; conseguenza che discende dalla premessa: odi profanum vulgus et arceo. Tutt'altro che popolana e profana, questa letteratura nacque sacra, con un poema, che il suo stesso poeta chiamò sacro (sacro perché parla di Dio, ma quale argomento piú popolare di Dio? E nella Divina Commedia non si parla solo di Dio ma anche dei diavoli e della loro "nuova cennamella") ecc. ecc.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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