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      È da vedere, nel teatro di Pirandello, perché certe commedie sono scritte in italiano e altre in dialetto: nel Pirandello l'esame è ancor piú interessante, poiché Pirandello ha, in un altro momento, acquistato una fisionomia culturale cosmopolitica, cioè è diventato italiano e nazionale in quanto si è completamente sprovincializzato ed europeizzato. La lingua non ha ancora acquistato una «storicità» di massa, non è ancora diventata un fatto nazionale. Liolà di Pirandello, in italiano letterario vale ben poco, sebbene il Fu Mattia Pascal, da cui è tratta, possa ancora leggersi con piacere. Nel testo italiano l'autore non riesce a mettersi all'unisono col pubblico, non ha la prospettiva della storicità della lingua quando i personaggi vogliono essere concretamente italiani dinanzi a un pubblico italiano. In realtà in Italia esistono molte lingue «popolari» e sono i dialetti regionali che vengono solitamente parlati nella conversazione intima, in cui si esprimono i sentimenti e gli affetti piú comuni e diffusi; la lingua letteraria è ancora, per molta parte, una lingua cosmopolita, una specie di «esperanto», cioè limitata all'espressione di sentimenti e nozioni parziali ecc.
      Quando si dice che la lingua letteraria ha una grande ricchezza di mezzi espressivi, si afferma una cosa equivoca ed ambigua; si confonde la ricchezza espressiva «possibile» registrata nel vocabolario o contenuta inerte negli «autori», con la ricchezza individuale, che si può spendere individualmente; ma è quest'ultima la sola ricchezza reale e concreta ed è su di essa che si può misurare il grado di unità linguistica nazionale che è data dalla vivente parlata del popolo, dal grado di nazionalizzazione del patrimonio linguistico.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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