Negli Emigranti tutte queste distinzioni storiche, che sono essenziali per comprendere e rappresentare la vita del contadino, sono annullate e l'insieme confuso si riflette in modo rozzo, brutale, senza elaborazione artistica. È evidente che il Perri conosce l'ambiente popolare calabrese non immediatamente, per esperienza propria sentimentale e psicologica, ma per il tramite di vecchi schemi regionalistici (se egli è l'Albatrelli occorre tener conto delle sue origini politiche, mascherate da pseudonimi per non perdere, nel 1924, l'impiego al Comune o alla Provincia di Milano). L'occupazione (il tentativo di) a Pandure nasce da «intellettuali», su una base giuridica (nientemeno che le leggi eversive di G. Murat) e termina nel nulla, come se il fatto (che pure è verbalmente presentato come un'emigrazione di popolo in massa) non avesse sfiorato neppure le abitudini di un villaggio patriarcale. Puro meccanismo di frasi. Cosí l'emigrazione. Questo villaggio di Pandure, con la famiglia di Rocco Blèfari, è (per dirla con la parola di un altro calabrese dal carattere temprato come l'acciaio, Leonida Rèpaci) un parafulmine di tutti i guai. Insistenza sugli errori di parola dei contadini, che è tipica del brescianesimo, se non dell'imbecillità letteraria in generale. Le «macchiette» (Il Galeoto ecc.), compassionevoli, senza arguzia e umorismo. L'assenza di storicità è «voluta» per poter mettere in un sacco alla rinfusa tutti i motivi folcloristici generici, che in realtà sono molto ben distinti nel tempo e nello spazio.
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