L'imbecillità e l'inettitudine del Panzini di fronte alla storia sono incommensurabili: il suo scrivere è un puro e infantile gioco di parole, ammantato di una specie di melensa ironia che dovrebbe far credere all'esistenza di chissà mai quali profondità, come quelle che certi contadini esprimono nel loro ingenuo modo di parlare. Bertoldo storico! In realtà è una forma di stenterellismo che si dà l'aria del Machiavelli in maniche di camicia e non in abito curiale. Un'altra puntata contro il Panzini si può leggere nella «Nuova Italia» di quel torno di tempo: si dice che la Vita di Cavour è scritta come se il Cavour fosse Pinocchio!
Né si può dire che lo stile del Panzini, nelle sue scritture di storia, sia «piacevole e drammatico»: egli è piuttosto farsesco e la storia è rappresentata come una «piacevolezza» da commesso viaggiatore o da farmacista di provincia: il farmacista è Panzini e i clienti sono altrettanti Panzini che si beano della propria fatua stupidaggine.
Tuttavia la Vita di Cavour ha una sua utilità: è una raccolta stupefacente di luoghi comuni sul Risorgimento e un documento di primo ordine del gesuitismo letterario del Panzini. Esemplificazione: «Uno scrittore inglese ha chiamato la storia dell'unità d'Italia la piú romanzesca storia dei tempi moderni». (Il Panzini, oltre a creare luoghi comuni per gli argomenti che tratta, si dà molto daffare per raccogliere tutti i luoghi comuni che sullo stesso argomento sono stati messi in circolazione da altri scrittori, specialmente stranieri, senza accorgersi che in molti casi, come in questo, è implicito un giudizio «diffamatorio» del popolo italiano: il Panzini deve essersi fatto uno schedario speciale di luoghi comuni, per condire opportunamente i propri scritti). «Re Vittorio era nato con la spada e senza paura: due terribili baffi, un gran pizzo.
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