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      Il Marzot ha scritto un saggio su Giovanni Verga ed è un critico talvolta intelligente.
      Sarebbe da studiare questo punto: se il naturalismo francese, nelle sue pretese di obbiettività scientifica e sperimentale, non contenesse già, in genere, la posizione ideologica che ebbe poi grande sviluppo nel naturalismo o realismo provinciale italiano e specialmente nel Verga: il popolo della campagna è visto con «distacco», come «natura» estrinseca sentimentalmente allo scrittore, come spettacolo ecc. È la posizione di Io e le belve di Hagenbeck. In Italia, la pretesa «naturalistica» dell'obbiettività sperimentale degli scrittori francesi, che aveva un'origine polemica contro gli scrittori aristocratici, si innestò in una posizione ideologica preesistente, come appare dai Promessi Sposi, in cui esiste lo stesso «distacco» dagli elementi popolari, distacco appena velato da un benevolo sorriso ironico e caricaturale. In ciò Manzoni si distingue dal Grossi che nel Marco Visconti non canzona i popolani e persino dal D'Azeglio delle Memorie, almeno per ciò che riguarda le note sulla popolazione dei castelli romani.
      Una sfinge senza enigmi. Nell'«Ambrosiano» dell'8 marzo 1932 Marco Ramperti aveva scritto un articolo La Corte di Salomone in cui, tra l'altro scriveva: «Stamattina mi sono destato sopra un "logogrifo" di quattro righe, intorno a cui avevo vegliato nelle ultime sette ore di solitudine, senza naturalmente venirne a capo di nulla. Ombra densa! Mistero senza fine! Al risveglio mi accorsi, però, che nell'atonia febbrile avevo scambiato la Corte di Salomone con l'Italia Letteraria, il "logogrifo" enigmatico con un carme del poeta Ungaretti.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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