) per tutta la vita: in realtà la grammatica si studia «sempre», ecc. (con l'imitazione dei modelli ammirati, ecc.). Nella posizione del Gentile c'è molta piú politica di quanto si creda e molto reazionarismo inconscio, come del resto è stato notato altre volte e in altre occasioni: c'è tutto il reazionarismo della vecchia concezione liberale, c'è un «lasciar fare, lasciar passare» che non è giustificato, come era nel Rousseau (e il Gentile è piú rousseauiano di quanto creda) dall'opposizione alla paralisi della scuola gesuitica, ma è diventato un'ideologia astratta, «astorica».
La cosí detta «quistione della lingua». Pare chiaro che il De Vulgari Eloquio di Dante sia da considerare come essenzialmente un atto di politica culturale-nazionale (nel senso che nazionale aveva in quel tempo e in Dante), come un aspetto della lotta politica è stata sempre quella che viene chiamata «la quistione della lingua» che da questo punto di vista diventa interessante da studiare. Essa è stata una reazione degli intellettuali allo sfacelo dell'unità politica che esistè in Italia sotto il nome di «equilibrio degli Stati italiani», allo sfacelo e alla disintegrazione delle classi economiche e politiche che si erano venute formando dopo il Mille coi Comuni e rappresenta il tentativo, che in parte notevole può dirsi riuscito, di conservare e anzi di rafforzare un ceto intellettuale unitario, la cui esistenza doveva avere non piccolo significato nel Settecento e Ottocento (nel Risorgimento). Il libretto di Dante ha anch'esso non piccolo significato per il tempo in cui fu scritto; non solo di fatto, ma elevando il fatto a teoria, gli intellettuali italiani del periodo piú rigoglioso dei Comuni, «rompono» col latino e giustificano il volgare, esaltandolo contro il «mandarinismo» latineggiante, nello stesso tempo in cui il volgare ha cosí grandi manifestazioni artistiche.
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