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      E il pubblico l'ha colmata di fiori e di applausi.
      (20 gennaio 1916).
      «Paolo e Virginia» di Ambrosini e Michelotti all'Alfieri. Dobbiamo riconfermare la prima impressione. Ce ne dispiace per l'Ambrosini, specialmente, del quale ricordiamo con sempre vivo godimento i bozzetti storici di grandissimo valore, ma la nuova commedia Paolo e Virginia non ci convince e non ci può piacere. E non per la ingenuità tecnica, per le manchevolezze sceniche, che si possono perdonare in un primo tentativo e che possono anzi essere prova di ingegno drammatico potente che si dibatte sulle prime fra le pastoie delle necessità della pratica, ma perché la commedia è una offesa al buon gusto e al senso comune. Tutto è artificioso, voluto, riflesso. Nessun abbandono dell'autore verso le creature della sua fantasia che le renda indipendenti, libere, vive di attività propria, ma invece la sensazione implacabile della preoccupazione del successo, dello sforzo cerebrale, e senza possibilità di uno sbocco nell'azione. Il primo atto è appiccicato colla colla al resto: serve per lo spunto, per giustificare il titolo, per poter riallacciare i personaggi col celebre romanzo del languido e rugiadoso Saint-Pierre, e per poter adombrare, senza riuscire a completarlo, il carattere di Virginia, condannata a vivere di una vita doppia, libresca per il ricordo dei due sfortunati amanti del buon tempo antico, e piena di impulsi e di curiosità di vivere della monelluccia moderna. Ma del resto tutti i personaggi ragionano, ricordano e mai operano.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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