L'onore di John Glayde di Alfredo Sutro non si distacca quasi per niente dalla media comune delle commedie costruite su un caso di adulterio. Un uomo di affari che si appassiona piú al giuoco titanico della Borsa che alla felicità domestica, ritrova al suo improvviso ritorno che la moglie gli è diventata un'estranea, che ella si è costruita una vita nuova, delle possibilità nuove di esistenza, e non vuol piú saperne di lui.
Ma è il modo che maggiormente offende il suo senso d'onore, non il fatto in sé. La commedia che gli viene rappresentata, la finzione che lo circonda e lo soffoca pur nel roseo cerchio delle braccia femminee, lo esaspera, ma lo riconduce al senso della realtà.
Il dominatore riconosce il suo torto: ha giocato male, e ha perduto. Di fronte a lui l'avversario non ha altro torto che l'insincerità, la frode sleale che ha sorpreso la buona fede di chi, per conoscere gli uomini, ha trascurato l'altra metà del genere umano, ma nient'altro. E perciò non si erge esecutore della giustizia offesa: la punizione della moglie e del suo amante è in loro stessi, nella loro coscienza turbata di mentitori, che germinerà disillusioni e nuovi tradimenti e nuove vittime.
Questo scioglimento psicologico che per essere perfettamente, kantianamente morale, può rappresentare nel teatro una semplice ma grande novità, è preparato da quattro atti non altrettanto semplici e piani. Il dialogo, e forse vi contribuisce la traduzione scolorita e qualche volta spropositata, è monotono, e nello svolgimento non mancano incongruenze e colpi di scena artificiosi.
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