Il tiranno è tale per i soprusi inumani che compie, non per le parole che escono dalle sue labbra. L'opera cosí scarnificata diventa un moncherino, grottesco talvolta. L'espressione di Macduff che rassomiglia la moglie e i figli a una chioccia ghermita coi pulcini da un avvoltoio, non avrebbe fatto ridere la platea se questa avesse avuto dinanzi agli occhi il quadro della strage compiuta freddamente dalla volontà del re.
Piccole osservazioni che si potrebbero moltiplicare se ciò non fosse inutile, e se noi non sentissimo per Ruggeri una grande gratitudine anche per il poco che ci ha dato, e che serve da stimolo per accostarci con piú amore all'opera. Come non servirà a nulla osservare che Ruggeri è cosí infetto di lebbra dannunziana vacua e declamatoria, che troppo spesso la sua riflessione critica ne viene sorpassata e annegata in una sentimentalità melodrammatica che stona terribilmente colla creatura di Shakespeare, né decadente, né ammalata di modernità floreale e liberty.
E il pubblico, anch'esso compenetrato dello sforzo che il Ruggeri, la Vergani, e gli altri hanno fatto, ha applaudito, e talvolta con vera convinzione.
(25 maggio 1916).
Sfogo necessario. Inizi di nuovi corsi di recite in tutti i teatri di Torino. Produzioni per tutti i gusti, o per meglio dire, per tutti i cattivi gusti. Mediocrità uggiosa, asfissiante. Torino è diventata una buona piazza per il trust che regola il mercato artistico italiano: vi si smerciano anche i prodotti piú indigesti. Eppure non dovrebbe essere cosí: la fortuna dei concerti di Toscanini, delle esecuzioni di Cavalleria dimostrano che la superiorità del prodotto, l'intenzione artistica non nocciono alla cassetta; tutt'altro.
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