Perciò nessuno ha fatto rilevare e ha deplorato che a Torino da piú di un mese e mezzo non sia aperto nessun teatro degno di tal nome, e non si è domandato quale sia la causa dello strano avvenimento.
Perché non è certamente la guerra coi suoi contraccolpi che ha determinato la clausura. Al contrario, la mancanza di un ritrovo non banale ha dato luogo a un pullulare malsano di varietà e di canzonettisterie, nelle quali, per disperazione, vanno a finire tutti gli annoiati, non solo, ma anche tutti quelli che dopo una giornata di lavoro febbrile e pesante, sentono la necessità di una serata di svago, sentono il bisogno di una occupazione cerebrale che completi la vita, che non riduca l'esistenza a un puro esercizio di forze muscolari. Poiché questa è una delle ragioni che dànno un valore sociale al teatro. Accanto all'attività economica, pratica, e all'attività conoscitiva, che ci rende curiosi degli altri, del mondo circostante, lo spirito ha bisogno di esercitare la sua attività estetica. L'impastoiare questa è un limitare arbitrariamente la nostra personalità; ed essa si vendica, a nostre spese. L'astinenza artificiosa porta al vizio solitario: l'assenza di possibilità buone per la ricreazione intellettuale fa sfungare i ritrovi piú o meno osceni, dove si logora una apprezzabilissima parte di noi stessi e si pervertisce il gusto. A Torino una completa mancanza di spettacoli teatrali non si era mai avuta. Il comune stesso, quando era retto da uomini meno intellettualmente beceri, si preoccupava del problema, e a ragione.
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