La trama di questa farsa in tre atti, rappresentata dalla compagnia Sichel, non abbonda di finezze, né d'intreccio, né di sentimento, come tutte le farse. Prenderla sul serio sarebbe troppo ingenuo. Si propone di sollazzare piacevolmente, prospettando dei bozzetti cui la grande guerra che incombe non dà neppure l'ombra di una tragicità qualsiasi. Rosalia, la baionetta sanguinosa, diventa un eufemismo, senza traccia dell'acre ironia che vi possono mettere i soldati che ne sono i fidanzati. Il soldato ridiventa il solito tipo che Cuttica ha popolarizzato: cafone sempliciotto, che parla e opera per far ridere anche se non è piú il cappellone dei tempi di pace. La trama sentimentale del seminarista che si innamora e con l'aiuto delle circostanze sempre propizie, come si conviene all'eroe, riesce a pronunziare i voti terreni di marito esemplare, serve a collegare l'insieme ma non dà un'unità essenziale all'azione. Sichel, Rossi, Lotti, la Zucchini con la loro varia interpretazione, sempre piacevole e senza essere eccezionale, sono tuttavia riusciti a tenere l'attenzione sveglia e suscitare dei sorrisi benevoli e persino qualche risatella senza conseguenze. Perché non sarà certamente la guerra che farà diventare piú seriamente raccolti gli scrittori e tantomeno il pubblico.
(6 settembre 1916).
Sichel. È uno degli attori meglio quotati, a Torino. Mi dicono sia molto popolare e che persino sotto i portici gli ammiratori si fermino a osservarlo, e se lo additino sbirciando, e si ricordino scambievolmente i momenti di ilarità. Certo è che in questa stagione il Carignano è sempre stato affollatissimo, e gli spettatori hanno mostrato di divertirsi e Sichel è stato festeggiatissimo e ha avuto l'onore (come si dice) di molti applausi a solo, di molti segni di distinzione.
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