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      Con le dovute limitazioni, ciò succede per l'attrice Lyda Borelli. Questa donna è un pezzo di umanità preistorica, primordiale. Si dice di ammirarla per la sua arte. Non è vero. Nessuno sa spiegare cosa sia l'arte della Borelli, perché essa non esiste. La Borelli non sa interpretare nessuna creatura diversa da se stessa. Ella scande semplicemente i periodi, non recita. Perciò preferisce le opere in versi, e predilige Sem Benelli, il quale scrive per la musica delle parole piú che per il loro significato rappresentativo. Perciò anche la Borelli è l'artista per eccellenza della film, in cui lingua è solo il corpo umano nella sua plasticità sempre rinnovantesi.
      L'elemento «sesso» ha trovato nel palcoscenico la sua moderna possibilità di contatto col pubblico. E ha rapinato le intelligenze. Il caso Borelli, se può essere bello per chi lo suscita, non è certo confortante per chi vi si lascia prendere. L'uomo ha lavorato enormemente per ridurre l'elemento «sesso» ai suoi veri limiti. Lasciare che esso di nuovo si dilati a scapito dell'intelligenza è prova di imbestiamento, non certo di elevazione spirituale.
      (16 febbraio 1917).
      «La canzone della cuna» di Martinez Sierra all'Alfieri. La compagnia Sainati, specialista per il repertorio del Grand-Guignol, ha messo in iscena, l'altra sera, due novità spagnuole che nulla hanno di comune colle solite terrifiche produzioni che – con successo del resto – solitamente i Sainati eseguiscono. Le due novità ebbero un'accoglienza piuttosto fredda dal pubblico poco numeroso che s'era dato convegno all'Alfieri.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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