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      Esse non avrebbero grossolanamente riso della creatura che la fantasia di Ibsen ha messo al mondo, perché avrebbero riconosciuto in lei una sorella spirituale, la testimonianza artistica che il loro atto è compreso altrove, perché essenzialmente morale, perché aspirazione di anime nobili a una umanità superiore, il cui costume sia pienezza di vita interiore, escavazione profonda della propria personalità e non vile ipocrisia, solletico di nervi ammalati, animalità grassa di schiavi diventati padroni.
      (22 marzo 1917).
      «Pensaci Giacomino» di Pirandello all'Alfieri. Questa commedia di Luigi Pirandello è tutta uno sfogo di virtuosismo, di abilità letteraria, di luccichii discorsivi. I tre atti corrono su un solo binario. I personaggi sono oggetto di fotografia piuttosto che di approfondimento psicologico: sono ritratti nella loro esteriorità piú che in una intima ricreazione del loro essere morale. È questa del resto la caratteristica dell'arte di Luigi Pirandello, che coglie della vita la smorfia piú che il sorriso, il ridicolo piú che il comico: che osserva la vita con l'occhio fisico del letterato, piú che con l'occhio simpatico dell'uomo artista e la deforma per un'abitudine ironica che è l'abitudine professionale piú che visione sincera e spontanea.
      I personaggi sono di una povertà interiore spaventosa in questa commedia, come del resto nelle novelle, nei romanzi e nelle altre commedie dello stesso autore. Hanno solo delle qualità pittoriche, o meglio pittoresche: un pittoresco caricaturale, con qualche velatura di melanconia, che è anch'essa smorfia fisica piú che passione.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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