In seguito il Pirandello ha ripensato alla sua creazione, e ne è venuto fuori Liolà; l'intreccio rimane lo stesso, ma il fantasma artistico è stato completamente rinnovato: esso è diventato omogeneo, è diventato pura rappresentazione, libero completamente di tutto quel bagaglio moraleggiante e artatamente umoristico che lo aduggiava. Liolà è una farsa, ma nel senso migliore della parola, una farsa che si riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica, e che ha il suo corrispondente pittorico nell'arte figurativa vascolare del mondo ellenistico. C'è da pensare che l'arte dialettale cosí come è espressa in questi tre atti del Pirandello, si riallacci con l'antica tradizione artistica popolare della Magna Grecia, coi suoi fliaci, coi suoi idilli pastorali, con la sua vita dei campi piena di furore dionisiaco, di cui tanta parte è pure rimasta nella tradizione paesana della Sicilia odierna, là dove questa tradizione si è conservata piú viva e piú sincera. È una vita ingenua, rudemente sincera, in cui pare palpitino ancora i cortici delle querce e le acque delle fontane: è una efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia organica.
Mattia Pascal, il melanconico essere moderno, dall'occhio strabico, l'osservatore della vita volta a volta cinico, amaro, melanconico, sentimentale, vi diventa Liolà, l'uomo della vita pagana, pieno di robustezza morale e fisica, perché uomo, perché se stesso, semplice umanità vigorosa.
| |
Pirandello Liolà Grecia Pirandello Magna Grecia Sicilia Pascal Liolà
|