Nino Martoglio non ha elaborato artisticamente il fatto oggettivo. I ciechi di Maurizio Maeterlink sono troppo vivi nella memoria per non sentire che Nino Martoglio ha lasciato inerte la materia, e che essa vive solo per il travaglio inconsapevole degli spettatori, e per la virtú di realizzazione scenica di Angelo Musco e dei suoi collaboratori. Lo strappo che il nostro animo risente è dovuto tutto all'arte semplice del Musco e del Pandolfini. Essi soli dànno al fatto una soggettività: l'unica che in questo caso può avere: il brivido corporale, la maschera della tragicità.
(7 aprile 1917).
«La maschera e il volto» di Chiarelli al Carignano. La maschera: il complesso di atteggiamenti esteriori che gli uomini assumono sotto lo stimolo della realtà sociale che li circonda. La maschera è la patina superficiale del costume, della moda, dello snob, il precipitato di tutte le reazioni tra la vita individuale e la vita collettiva, tra la vita di un individuo e la vita di quella determinata categoria sociale in mezzo alla quale l'individuo ha le radici della sua particolare esistenza. Chi riesce a strappare dal proprio volto questa maschera, chi riesce a vivere non secondo le inconsapute violenze della convenzione sociale, ma solo secondo i dettami del proprio io piú profondo, della sincerità che pure esiste in fondo alla coscienza di ogni individuo? I tre atti di Luigi Chiarelli rappresentano appunto la storia di uno di questi individui, le avventure tragicomiche, le esperienze interiori ed esteriori di uno di questi individui.
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