C'è un gran pubblico che vuole andare a teatro: l'industria lo sta lentamente abituando a preferire lo spettacolo inferiore, indecoroso, a quello che rappresenta una necessità buona dello spirito.
Dato questo nostro atteggiamento, preghiamo il signor Chiarella di credere che non vogliamo affatto contribuire a spingere alla requisizione dei suoi locali. Ci pare che sia la sua ditta stessa a offrire l'occasione di una misura del genere. Il Balbo, il Torino, il Vittorio furono requisiti appunto perché da un pezzo non si aprivano piú a spettacoli teatrali degni del nome. Il teatro Vittorio, gestito dai Chiarella, si chiuse il 23 ottobre dopo una stagione teatrale del circo equestre Bisini e fino al giorno della requisizione si aprí solo a lunghissimi intervalli per qualche spettacolo lirico secondario. È questo il pericolo dell'industria monopolizzata: essa fa affari, anche svalorizzandosi in un certo mercato, anche distruggendo i suoi valori: se ne rifà in altri mercati, senza preoccuparsi del disordine che crea, delle tendenze morbose che determina. E non c'è modo di farlo con mezzi economici. Saremmo lieti se a qualcosa servisse la protesta dei giornali. Che se poi il trust Chiarella desidera che si parli delle concessioni fatte per gli spettacoli di beneficenza noi non avremmo alcuna difficoltà: solo che il discorso sarebbe lungo e... pericoloso!
(4 luglio 1917).
Ancora i fratelli Chiarella. Il signor Giovanni Chiarella ci invia una seconda lettera di recriminazioni che non riescono a far mutare le nostre convinzioni.
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