La beneficiata del Betrone è diventata cosí invece la beneficiata di Giulio Paoli, per la logica stessa delle cose. Perché un attore sia artista in atto è necessario che le sue possibilità interpretative si sostanzino di vita reale artistica. Il Betrone non poteva trovare questa vita nel personaggio di Giuseppe Parini. Le sue possibilità non potevano che rimanere esteriori, forma senza sostanza, cioè pura ipotesi, sforzo di immaginazione, non plasticità. Un po' di declamazione, nessuna interiorità. Un vero peccato. Perché la serata di Annibale Betrone potrebbe sempre essere una vera manifestazione d'arte, perché il Betrone è attore tale da realizzare, in una opera d'arte, una interpretazione perfetta. Le rappresentazioni solite, di ogni giorno, non dànno mai occasione a una espressione di sé completa. Sono frammentarie, incerte, provvisorie: le abitudini del teatro italiano obbligano gli attori a una varietà di interpretazioni che non può non essere a danno della profondità, della compiutezza. C'è sempre un po' di dilettantismo, di nomadismo, di improvvisato nei nostri attori. Le elaborazioni minuziose, capillari, sono ignorate. L'intuizione può supplire in parte, ma non riesce mai a dare quella pastosità intensa di luci che dà la preparazione, il lavorio critico.
Nel Betrone c'è l'intuizione vigile, pronta, e anche il senso critico, ma non sempre le due possibilità si incontrano in una stessa interpretazione. Accade che il senso critico debba applicarsi a personaggi vuoti di sostanza artistica, e l'interpretazione non sia che virtuosismo esteriore.
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