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      Che in ogni interpretazione – anche di cose mediocri o nulle – sa far risaltare la sua parte, sa farsi notare, sa strappare, a un certo punto, l'applauso. Ripensandoci, si trova che in ciò consiste il suo talento, e la sua deficienza di artista.
      Gli autori potranno essergliene grati, il pubblico non deve essergliene grato. E neppure tutti gli autori: gli autori mediocri, che non sanno dire una parola che valga in sé e per sé, che viva di vita propria. Ruggeri è l'attore dell'indistinto: conguaglia tutto: il bello e il brutto diventano uguali attraverso la sua persona, e il bello ne soffre, ne viene diminuito, non è piú lui. Chi si reca a teatro per divertirsi, per passare l'ora, può essere lieto di ciò: difficilmente prova una impressione sgradevole, difficilmente dice d'aver perduto la serata, di non essersi spassato. Ma lo spasso e il passatempo non sono sensazioni estetiche. Il gusto gode nel rivivere con l'attore una creazione di bellezza; prova anzi una doppia sensazione: rivive il fantasma drammatico con l'autore e con l'attore. L'attore esprime plasticamente il fantasma che l'autore ha espresso verbalmente. È una doppia creazione, che, quando è perfetta, deve dare una impressione solida, compiuta, senza residui.
      Ruggeri non sa abbandonarsi all'autore, all'espressione verbale; egli vi si sovrappone. E lo fa sempre allo stesso modo. La duttilità dell'ingegno gli serve magnificamente. È adusato a tutti i lenocini dell'arte: possiede la tecnica a perfezione. Ma la pura tecnica è esteriorità: se non si fonde con gli altri elementi che contribuiscono alla creazione, se non diventa spontaneità, essa è un impaccio, è una deficienza piú che una qualità buona.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573