Crea, come appunto in Ruggeri, il conguagliamento, l'indistinto, mentre l'arte è sempre diversità, distinzione, individuazione.
Per limitare e comprendere la fortuna e il successo del Ruggeri bisogna porsi questa domanda: è possibile recitar bene un'opera mancata? e rispondere. La risposta non può essere che negativa, se si ragiona con criteri artistici. Recitar bene un'opera mancata significa solo che l'attore è riuscito a costruire un'apparenza di bellezza, che si è servito di elementi extraartistici, di suggestioni che non hanno affatto a che vedere con l'interpretazione. Ha isolato qualche elemento a successo, e lo ha dilatato fino a dar l'impressione di una compattezza espressiva. È il lavoro solito del Ruggeri. Le commedie e i drammi del suo repertorio sono imperniati su un personaggio: Lo sparviero, L'avventuriero, L'amico delle donne, ecc.; gli altri personaggi sono sfumatura, penombra. L'unico è anch'esso composto di molta sfumatura e penombra, e di pochi sprazzi di luce: ma questa poca luce finisce con l'irradiarsi in tutto il lavoro, col dargli una vita fittizia, che dura tra la prima e l'ultima scena, e lascia in fondo la bocca allappata, e la fantasia inerte.
Ruggeri non sa spogliarsi di questo abito di virtuosismo neanche quando l'espressione verbale ha tale vita intima da poter dar luogo alla vera interpretazione, alla traduzione integrale in valori scenici. Il lavorio di isolamento è trasportato anche alle opere d'arte; anche esse vengono raffazzonate, snaturate, e il successo che le accompagna è in gran parte successo fittizio, perché ottenuto con mezzi esteriori alla loro intima grandezza.
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