Ruggero Ruggeri non è piccola causa del pervertimento estetico del pubblico di teatro. Egli riesce a dare impressioni di bellezza e di grandezza anche quando la bellezza e la grandezza lasciano il posto al lenocinio e alla tecnica, e il pubblico finisce col confondere, col perdere ogni esatto criterio di giudizio, col ritenere che valgano ugualmente Bernstein e Shakespeare.
(25 novembre 1917).
«L'elevazione» di Bernstein all'Alfieri. Le sofferenze e le angosce quotidiane dovute alla guerra hanno fatto diventare generosi, hanno elevato gli uomini. È il motivo dominante. Le sofferenze e le angosce non hanno però fatto diventare sinceri gli uomini che non erano sinceri, e specialmente gli scrittori di teatro. Gli scrittori di teatro, francesi specialmente, ma anche italiani, avevano creato, per uso industriale, un mondo fittizio di avventurieri, di donnine allegre, di vecchie intriganti e di vecchi satiri. Era una riduzione meccanica del mondo, era una visione artificiosa del mondo, utilissima ai fini del successo, perché offriva una inesauribile miniera di spunti, di intrighi, di intrecci, non domandava sforzi di fantasia, non domandava elaborazioni faticose. Il pubblico di scioperati che affollava i teatri si divertiva e si diverte tuttora a quegli intrighi e a quelle gaglioffaggini. Si è parlato però troppo di virtú, di sacrificio, di doveri. Si è dovuto riconoscere, per fini pragmatistici, che la virtú, lo spirito di sacrificio, il sentimento del dovere, sono ancora radicati negli animi.
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