Ma l'espressione artistica viene contaminata da queste giustapposizioni volontarie: i personaggi si sbiadiscono, perdono gran parte della umanità loro, sono bocche da discorsi, simboli in cui si accumulano le esperienze dello scrittore, ponticelli tra l'autore – che non è filosofo, e non sa dare forma filosoficamente adeguata alle sue impressioni – e il pubblico, che l'autore vuole compartecipe dei suoi sentimenti, del suo mondo interiore, che però non riesce a esprimere intrinsecamente e si adagia piú male che bene, nelle forme tradizionali della letteratura.
L'amazzone ha un corpo femminile e un nome: Gina Bardel, ma non è solo una donna. È tutto il complesso delle forze spirituali che spingono gli uomini alla guerra.
È la materializzazione sensibile dello spirito di guerra: è la Francia, è l'idea del dovere, è l'idea del sacrifizio del singolo per la collettività, è l'energia necessaria per questo sacrifizio [alcune righe censurate]. Cosí come Cecima Bellanger, che nei primi due atti è appunto solo questa semplice creatura umana, individuo vivo e dolorante, nel terzo atto si compone in simbolo: è tutto il sacrifizio dell'umanità per la guerra, è la somma di tutti i dolori, di tutte le lacerazioni, di tutte le lacrime che la guerra ha prodotto e fatto versare. Questi dissidi tra individui e simboli, tra la realtà sensibile e l'astrazione ideale contaminano tutto il dramma, lo rendono artisticamente una raffazzonatura, se pure sapientemente costruita. Ma il problema spirituale raggiunge il suo completo sviluppo, il fine morale che l'autore si proponeva di fissare, acquista una concretezza quasi rappresentativa.
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