Pagina (447/573)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      L'intreccio si fonda su un abusato giuoco di prospettiva: mentre un motivo drammatico si inizia per un personaggio, lo stesso motivo si conclude e determina la crisi interiore di un altro.
      Il conte Rolando D'Astico ha, nella sua giovinezza, in un istante di ebrietà sconsiderata, violentato una cameriera di sua madre. L'episodio non ha lasciato alcuna traccia nella sua vita successiva: egli ha ignorato la donna, il suo destino, le conseguenze di quel momento di pura animalità irresponsabile. Nei vent'anni che sono trascorsi d'allora ha avuto tempo di rovinarsi per un'altra donna, di diventare una «macchietta»: povero, trascurato nell'apparenza esteriore della sua vita di nottambulo filosofeggiante, vivacchia scrivendo articoli per i giornali, conferenze, libri. Gli autori lasciano comprendere come egli sia un genio incompreso, un uomo di grande intelligenza, sebbene ciò non appaia troppo dalla scena, e da qualche battuta piuttosto povera di umorismo e dalla quale appare solo la mania da gazzettiere dello Zambaldi di occuparsi di cose che non intende. Ma lasciamo andare: anche questa non è che una delle tante prove della poca consistenza del dramma. Il conte D'Astico è un uomo oltre che una caricatura di filosofo, come non poteva non essere nelle mani di questi autori. Come tale, conosce un giovanotto, un pittore di belle speranze anch'egli, che è travolto da una passione ossessionante per una donnetta da poco, una ballerina, una che è stata, e continua a essere, merce sessuale.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





Rolando D'Astico Zambaldi D'Astico