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      La burla è fiera: don Cecè si crede cavaliere, crede di aver conquistato una primadonna di Guittelemme, e si vendica, fieramente anch'egli: una fischiata alla primadonna, un pignoramento per mano d'usciere al rivale in amore, una sommossa delle legittime consorti per gli altri beffatori. Don Cecè è Angelo Musco: i tre atti sono farseschi, senza pretese di successi letterari.
      (13 marzo 1918).
      «Dèi e cicisbei» di Guglielminetti al Carignano. Due statue settecentesche acquistano vita e movimento per partecipare a una festa mascherata del secolo delle crinoline. Scendono dai loro piedistalli, si confondono tra gli invitati. Si confondono? Ohibò, esse non possono affatto confondersi. I due esemplari del secolo dei lumi, nel trasformarsi da frigido marmo in carne e ossa, sono passati per la fantasia di una poetessa moderna ed hanno subito qualche leggera truccatura: essi diventano gozzaniani. Nella fantasia di un artista probabilmente i due sarebbero saltati vivi, agili, pieni di nervi e di vitalità carnale, da una pagina di Giacomo Casanova. Nella fantasia di Amalia Guglielminetti essi diventano due teneri calamaretti intrisi di bianca farina, che a gara vogliono ognuno saltare per il primo nella bastardella di una moderna friggitoria. Essi appartengono a quel fantasioso settecento di maniera col quale scherzò argutamente Guido Gozzano. Ma il Gozzano metteva nei suoi leggeri fantasmi un sorriso arguto, una tenerezza ironica di superiorità spirituale: egli era quel settecento, erano i suoi sogni, la sua sensibilità, che fioriva diafana e anemica in versi di rimpianto scherzoso, in tenere figurine ritagliate con pazienza su vecchia carta da tappezzeria.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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