I tre sono agitati da uno stesso demone: la passione. Una cantante tradita e bastonata dall'amico, che pur continua ad amare. Un ingegnere tradito dalla moglie, un signore in grigio tradito dall'amica. La signora è una figura scialba, evanescente; la sua passione potrebbe essere benissimo puro fenomeno nervoso, puro dispetto: non ha certo il carattere della tragicità, non si esprime, perché il nulla non ha espressione. L'ingegnere è personaggio da pochade: la sua passione è tremolio gelatinoso di pover'uomo che ne ha visto una grossa: non poteva non essere tradito, questa l'unica, piccola, ridicola tragicità della sua avventura coniugale. L'uomo in grigio è la base del dramma, il mistagogo, la bocca della verità rivelata. È lo sfaccendato per eccellenza, che da un anno sgomitola dal suo cervello barzellette che l'autore prende sul serio fino a crederle profonda filosofia della vita. I tre si scontrano: la dama sta per entrare in congiunzione con l'ingegnere, ma se questo piccolo fatto, banale e umanissimo, accadesse, due atti non avrebbero ragione d'esistere. Il fatto ameno non accade: il mistagogo s'interpone, parla di apocalissi. Poi si reca egli stesso in casa della dama. Prolissità di scene pseudooriginali, di una meccanicità ingegnosa che invano cerca nascondere il vuoto sostanziale: ridda di larve senza ossa né carne. I tre riuniscono i loro destini intorno a una tavola di ristorante: romanticismo macabro, rugiadoso come una ballata del 1830. La dama viene raggiunta dal suo amatore e sparisce, pregustando nuove botte; l'uomo in grigio si uccide.
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