Racanaca è maturo per un portafoglio ministeriale. Un punto d'arresto: il suo segretario, il suo cervello vuole abbandonarlo, perché disilluso nella speranza di un facile adulterio. La speranza viene fatta rinascere dalla signora, che desidera che suo marito continui nella carriera degli onori.
L'adulterio matura nel terzo atto. Uno sciopero generale è scoppiato nell'Agro romano; i contadini hanno invaso le terre, ne pretendono la requisizione da parte dello Stato. Laurenzi prepara un successo popolare al ministro, viatico necessario per una probabile presidenza; la requisizione sarà decretata e finirà con l'essere utile specialmente ai proprietari, ai quali assicurerà un reddito sicuro da ogni alea. E, mentre Racanaca discuterà in seduta la disposizione di legge, Laurenzi coglierà il frutto di tanto lavoro, continuato per anni e anni.
La commedia è piaciuta, indubbiamente; la presentazione obiettiva, senza intenti partigiani, dell'ambiente politico, con le sue ipocrisie, con la sua imbecillità costituzionale, ha strappato spesso risate cordiali. Situazioni farsesche? Ma la vita politica è purtroppo farsa il piú delle volte, e tutta Roma non è, da cinquant'anni, che il teatro di una farsa sinistra ai danni della nazione italiana. Una commedia, per rappresentare una vita politica, dovrebbe ambientarsi in Cina o in Persia, secondo la tradizione letteraria delle Lettere di Montesquieu. La vita politica italiana è composta di cuoiai e salsicciai gabbamondo come nel mondo comico d'Aristofane, e rappresentarla porta necessariamente alla farsa.
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