(20 maggio 1919).
«Un baro d'amore» di A. Guglielminetti al Chiarella. In un pomeriggio romano afoso di temporale, la signora Elena Demei, consorte del signor Giorgio Demei, rivela alla baronessa Lanfranchi di aver conservato, sulle sue bianche spalle, il sigillo di un bacio impressovi due anni avanti, a San Sebastiano, dalle ardenti labbra di un tenebroso e fatidico andaluso.
Ella è presa, è schiava: avrà un convegno col bel cavaliere che deve rivelarle l'amore. E la moglie inganna astutamente il consorte, e la madre non si intenerisce alle lacrime inconsapevoli dell'innocente figliolina, che ha dieci anni e legge Peter Pan e sta per imparare la regola del tre e svolge componimenti su presaghe e galeotte frasi di Napoleone (che scuole! assegnare alle innocenti bambine temi che corrompono le genitrici), e va in una camera d'albergo. Ahimè, quale delusione. Il bel tenebroso è uno zingaro, un avventuriero, un truffatore, un baro d'amore. La signora fugge, lasciando il suo mantello d'ermellino, come Giuseppe la sua tunica, e il giorno dopo tradisce il marito col medico di casa. La commedia di Amalia Guglielminetti: Un baro d'amore, essenzialmente si regge su due mantelli d'ermellino, una sera di burrasca e una lunga telefonata dietro le quinte: le spagnolerie, le andaluserie, le siviglierie, le lunghe psico-pato-senso-femminilerie sono il bianco mangiare in cui affoga il moscerino stremenzito e volato dalla non fantasia drammatica della Guglielminetti. Il pubblico ha pazientemente ascoltato i primi due atti; al terzo si è scosso dal torpore e ha protestato indelicatamente.
| |
Guglielminetti Chiarella Elena Demei Giorgio Demei Lanfranchi San Sebastiano Peter Pan Napoleone Giuseppe Amalia Guglielminetti Guglielminetti
|