Con questa differenza: che i lettori di questi libri sono lettori clandestini e in pubblico fanno il chi la sa lunga in letteratura e in buon gusto; in teatro, collettivamente, non nascondono la loro predilezione. È un problema di costume di non trascurabile importanza: a Torino, c'è la possibilità che un teatro zeppo langua e rabbrividisca vedendo e udendo sulla scena ladri, assassini, ruffiani, prostitute, coltelli, sangue, e tutto l'armamento romantico e trucolento del cliché della mala vita.
(2 giugno 1919).
«La nostra immagine» di Bataille al Carignano. Nel recente poema del Bataille, La divine tragédie, è riprodotta l'immagine di un uomo le cui carni in disfacimento cadono, scoprendo la nuda aridezza dello scheletro; ma il braccio ha strappato il cuore dal petto, e lo tende verso l'alto, per salvarlo dalla putredine con un gesto disperatamente eroico.
Il mondo interiore del Bataille è simbolizzato in quella immagine, e anche l'espressione nella quale il Bataille concreta il suo mondo interiore. Una tensione esasperata, uno sforzo spasmodico di raggiungere le cime, che spesso, troppo spesso, si concreta in forme manierate e dolciastre, illanguidisce in compromessi banali e accomodanti. Nei due atti di La nostra immagine, il dissidio si presenta piú vistoso e urtante perché cozza nei due atti, tra un dramma e una farsa. Vediamo prima contrapporsi una madre e una figlia che furiosamente difendono ognuna la propria vita, la propria libertà. Enrichetta, con fredda crudeltà, domanda a sua madre, ancor giovane, ancora ammirata, di sposare un vecchio idiota per espiare il passato di avventure, per mettere in regola le sue carte di stato civile, per darle un nome e permetterle di entrare nel mondo «ufficiale», per permetterle di realizzare la felicità. Tra questa giovinetta, che ragiona freddamente e si dispera, che è crudele e tenera, spietata e commossa, e la donna che è posta dinanzi al compimento di un dovere che deve attuarsi in una cerimonia ridicola ferocemente, l'urto fa sprizzare scintille luminosamente vive di drammaticità. Ma il componimento avviene per un processo in cui tutta l'energia creatrice si è oscurata e ammorbidita: l'esperienza per cui Onorina si umilia e accetta di compiere l'espiazione è un tessuto di mere parole flosce e povere, di scene vuote ed esteriori, disperatamente uggiose e sconfortanti: e il pubblico ha sanzionato giustamente.
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