Una crisi, che sorge piú da contrasti esteriori che da un intimo dissenso, lo sconvolge, gli fa perdere il dominio di sé, lo fa insieme incerto e brutale, violento e pauroso.
Intorno, tre figure di donne, o meglio in tutte una figura sola: l'essere che vive dell'amore e del dominio dell'uomo, ne vive fino al sacrifizio, alla perdita di sé, all'odio, al delitto.
La moglie di Kostamarov, tradita, trascurata, chiama presso di sé la sorella, Anfissa, vedova che giunge con non si sa qual fama di autorità, e spera che la sorella, ammonendo, esortando, inspirando magari un nuovo sentimento, le riporti l'affetto e la fedeltà del marito. Ma questi ama Anfissa, fin dal giorno che ne ha sposato la sorella e Anfissa ama essa pure il cognato. Il sentimento, doppiamente colpevole, dei cognati si esaspera nella strana situazione in cui essi vengono a trovarsi. Giungerà esso a purificarsi, a trionfare come un sentimento primordiale, che non ha bisogno di giustificazioni, che non soffre attenuazioni, che di per sé vale ed è tutto? Il dramma si dibatte per quattro atti, per alcuni mesi di vita, e si chiude con un delitto. Dico che si dibatte e non lo dico per esprimere un giudizio di condanna. La scena è anzi perfetta. Se qualcosa vi è da rimproverare, è piuttosto la tensione che non si allenta per un attimo, dalla prima all'ultima battuta, dando l'impressione di una logicità perfetta e di uno sviluppo pienamente conforme alle leggi della vita. Ma il dibattersi angoscioso, in cui la drammaticità, in cui i limiti della comune esistenza sono superati, in cui si giunge alla tragedia e alla poesia, è quello di alcune coscienze prese nelle spire di una sorte che per essere fatta della loro stessa passione non appare meno come qualcosa di tragicamente imponente.
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Kostamarov Anfissa Anfissa Anfissa
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