L'intiera verità di essa doveva purtroppo fargli l'impressione di un pugno sullo stomaco.
Auguriamo dunque a questo dramma un pubblico migliore, piú rozzo, piú immediatamente sincero, piú vicino a godere e soffrire l'impetuosa angoscia della tragedia. Gli auguriamo un pubblico di proletari.
(14 novembre 1920).
«Glauco» di Morselli al Carignano. Glauco, l'eroe della mitologia greca, è presentato, al principio del primo atto, come un pescatore, il pescatore piú povero della Sicilia, privo di ogni ricchezza, ma pieno il cuore delle piú grandi cose. Tende l'orecchio al canto delle sirene e agli allettamenti dei tritoni e sogna terre lontane. Sogna l'Africa piena di mostri da uccidere, di oro e di regni da conquistare, sogna la Colchide verso la quale l'eroe Giasone sta guidando gli Argonauti. Sogna soprattutto la gloria che uguaglia gli uomini agli dei. Ma insieme a queste alte voci di gloria anche una modesta voce di amore parla al cuore del giovane. È l'amore di Scilla, una fresca e tranquilla vena di acqua chiara, in mezzo a un tumulto di insoddisfatte brame.
Glauco convince i pescatori a partire con lui per l'Africa, con un carico di lana tessuta.
Lasciata l'isola, egli li trascinerà poi con sé alle imprese che sogna. Ma la lana è di Forchis, il pastore padre di Scilla, ricchezza e grettezza riunite, e Forchis come la figlia cosí nega al pescatore la stoffa. I sogni debbono precipitare. E Scilla, la fanciulla che poco prima si è disperata nel vedere Glauco, entusiasta dei suoi progetti, dimenticare la voce tenera e sicura dell'amore, ora dà essa l'aiuto suo perché i progetti possano diventare realtà. Consegna ai pescatori la chiave della capanna dove si trova la stoffa: i pescatori la rubano e fanno vela per l'Africa.
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