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      Sto qui, in una cella buona, riscaldata dal sole, coperto da un maglione che ho acquistato subito e finalmente ho cacciato il freddo dalle mie vecchie ossa.
      Vi descriverò in altre lettere alcuni dei miei compagni di catena e di viaggio: ne ho una serie, abbastanza interessante.
      Mi ha colpito specialmente un ergastolano (cioè condannato a vita), incontrato a Napoli, durante l'«aria», ho saputo solo il suo nome, Arturo, e questi particolari: che ha 46 anni, che ha già compiuto 22 anni di pena, dei quali 10 di segregazione (isolato), che è calzolaio tagliatore.
      È un uomo bello, slanciato, dai tratti fini ed eleganti; parla con una precisione, una chiarezza, una sicurezza da sbalordire. Non ha una grande cultura, sebbene citi spesso Nietzsche: diceva Dies iràë, sdoppiando l'a-e. Lo vidi a Napoli, sereno, sorridente, tranquillo; aveva come una tinta pergamenacea sulle tempie e nelle orecchie, la pelle ingiallita, cioè, e come conciata. Partí da Napoli due giorni prima di me. Lo rividi ad Ancona, all'arrivo in stazione, sotto la pioggia: gli avevano fatto fare la linea Campobasso-Foggia, credo, e non quella Caianello-Castellamare, perché, ergastolano, avrebbe, in questi transiti, tentato la fuga, arrischiando sia pure un colpo di moschetto da parte dei carabinieri. Mi salutò, avendomi subito riconosciuto. Lo rividi all'ufficio matricola del carcere di Ancona: gli avevano lasciato i ferri, perché doveva andare in cella, essendo giunto a destinazione, e doveva attraversare dei cortili, sia pure interni.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





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