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      Sai quanto ho riso quando mi hai risposto proprio con tutta serietà a proposito delle fotografie che mi sono portato in cella? Cosí per il tuo confondere i due santi Antonio; anch'io scherzavo. Un'altra cosa non hai capito. Tu, proprio tu (e come hai dimenticato?) mi avevi scritto che non dovevo pensare (per il fatto che non ricevevo tue lettere) che mi volessi meno bene o mi avessi dimenticato. E io ti ho risposto che se avessi pensato ciò, non ti avrei piú scritto, come ho fatto talvolta nel passato, non già perché io abbia «sempre bisogno di essere amato, curato ecc. ecc.» (o psicologia da... società protettrice degli animali!) ma perché odio tutto ciò che è convenzionale e sente di pratica di ufficio. Io non sono un afflitto che debba essere consolato; e non lo diventerò mai. Anche prima di essere cacciato in prigione, conoscevo l'isolamento e sapevo trovarlo anche in mezzo alle moltitudini. Non è questo, non è ciò che tu hai pensato. Proprio il contrario è vero. Una tua lettera, mi riempie parecchie giornate. Se tu potessi vedermi quando ricevo una lettera, certo me ne scriveresti una al giorno (ma ciò sarebbe male, a sua volta). Ma basta di tutto ciò. Intanto questa settimana non posso scrivere a Giulia. Sai, il tuo pacco è giunto e ho visto le bellissime cose che mi hai spedito: ma solo il cioccolato mi fu dato. Non è però escluso che anche il resto mi venga consegnato: occorre fare una pratica che è già in corso. Il cioccolato è molto buono: lo mangio a pezzettini, per via dei denti (ecco una cosa che ti interessa: mi hanno dato il cioccolato ma non la carta colorata dell'involucro appunto perché può servire a tingere: la palla però ha un colore naturale di carta pesta che va molto bene ora che è completamente asciugata). L'indirizzo di mia madre è questo: Peppina Gramsci, Ghilarza (Cagliari); le scrivo oggi stesso annunziandole la fotografia.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





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