Ti avevo molto tempo fa pregato di procurarmi un volumetto di Vincenzo Morello (Rastignac) sul X canto dell'Inferno di Dante, stampato dall'editore Mondadori qualche anno fa (27 o 28): puoi ricordartene adesso? Su questo canto di Dante ho fatto una piccola scoperta che credo interessante e che verrebbe a correggere in parte una tesi troppo assoluta di B. Croce sulla Divina Commedia. Non ti espongo l'argomento perché occuperebbe troppo spazio. Credo che la conferenza del Morello sia l'ultima cronologicamente sul X canto e perciò può essere per me utile, per vedere se qualcun altro ha già fatto le mie osservazioni; ci credo poco, perché nel X canto tutti sono affascinati dalla figura di Farinata e si fermano solo ad esaminare e a sublimare questa e il Morello, che non è uno studioso, ma un retore, si sarà indubbiamente tenuto alla tradizione, ma tuttavia vorrei leggerla. Poi scriverò la mia «nota dantesca» e magari te la invierò in omaggio, scritta in bellissima calligrafia. Dico per ridere, perché per scrivere una nota di questo genere, dovrei rivedere una certa quantità di materiale (per esempio, la riproduzione delle pitture pompeiane) che si trova solo nelle grandi biblioteche. Dovrei cioè raccogliere gli elementi storici che provano come, per tradizione, dall'arte classica al medioevo, i pittori rifiutassero di riprodurre il dolore nelle sue forme piú elementari e profonde (dolore materno): nelle pitture pompeiane, Medea che sgozza i figli avuti da Giasone è rappresentata con la faccia coperta da un velo, perché il pittore ritiene sovrumano e inumano dare un'espressione al suo viso.
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