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      - Io ti ho avvertito più volte di non prendere nessuna iniziativa che riguardasse la mia posizione in particolare, e nessuna iniziativa che mi riguardi, in generale, senza un mio preventivo consenso. Non so perché tu ti sei sempre ostinata a non voler prendere sul serio questa mia raccomandazione, a non darle alcun valore. Devi aver creduto che si trattasse di non so quale specie di ubbia o di puntiglio infantile. Ma in verità, se ci avessi riflettuto un po', a quali conclusioni saresti dovuta giungere? Mi pare semplice. Basta pensare a quest'ordine di cose: - Che cosa sai tu, di preciso, di concreto, sulla mia vita quotidiana? Nulla o quasi nulla. Come fai a sapere quali conseguenze potranno avere per me, concretamente, le tue iniziative, anche quelle che tu ritieni le piú banali e di nessuna importanza? Tu non puoi sapere nulla, assolutamente nulla. Tutto il concatenarsi di cause ed effetti, nella vita carceraria, è fondamentalmente diverso da quello della vita comune, perché nell'azione e reazione dei sentimenti e delle opere manca l'elemento fondamentale della libertà, sia pure relativa, della vita comune. Non è giusto che in tali condizioni, sia io solo, a poter decidere se una cosa va fatta o no, io solo, perché io solo sono in carcere, sono privato della libertà, sono quello su cui possono ricadere le conseguenze di ogni iniziativa, peggiorando le mie condizioni di vita quotidiana? Anche ammettendo che si trattasse di un puro puntiglio (e io ti assicuro che non è il caso), ebbene, anche se si trattasse di una fanciullaggine, dovrebbe essere rispettata, perché i nervi diventano cosí sensibili in questa condizione che averne un certo riguardo non è poi una esagerazione.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803